Cassazione, Ordinanza del 8 marzo 2024 n. 6261

Il caso esaminato dalla Suprema Corte si riferisce ad una decisione del Tribunale per i minorenni, confermata in secondo grado, che dichiarava lo stato di adottabilità di un minore, disponendone l’inserimento presso la famiglia che già l’accoglieva e interrompendo i suoi rapporti con la famiglia d’origine, in ragione del ritardo mentale di grado lieve e disturbo della personalità dai quali la madre era affetta e del fatto che non vi erano figure familiari sostitutive dei genitori o di sostegno della madre nella crescita del figlio.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della madre, sottolinea che: “Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali (Cass. 9501/2023).

In tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori (Cass. 4002/2023).

Nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità, è necessario, poi, che l’indagine sulla condizione di abbandono morale e materiale sia completa e non trascuri alcun rilevante profilo inerente i diritti del minore, verificando, in particolare, se l’interesse di quest’ultimo a non recidere il legame con i genitori naturali debba prevalere o recedere rispetto al quadro deficitario delle capacità genitoriali, che potrebbe essere integrato, almeno in via temporanea, da un regime di affidamento extrafamiliare potenzialmente reversibile o sostituibile da un’adozione “mite” ex art. 44 l. n. 184 del 1983 (Cass. 21024/2022).

Nel caso concreto, la Corte d’appello non ha tenuto conto, pur avendoli menzionati, degli elementi sopravvenuti, idonei ad evidenziare un percorso compiuto dalla madre per migliorare la propria capacità genitoriale, avendo la medesima troncato la precedente relazione affettiva dannosa (con tossicodipendente), allontanato la madre oppositiva nei confronti dei Servizi sociali, sollecitato l’intervento di questi ultimi, trovato un’attività lavorativa e locato un’abitazione. Occorre altresì rilevare il forte legame affettivo tra madre e figlio, messo in luce dalla stessa Corte d’appello – sulla base della c.t.u. e delle dichiarazioni degli affidatari – senza, peraltro, trarne le dovute conseguenze. È, per vero, evidente che tale legame – che avrebbe dovuto fornire una chiave di lettura diversa dei disturbi e dei nervosismi del piccolo, nel senso di disturbi da assenza della madre, quando viene allontanato dalla medesima dopo gli incontri – pone in evidenza un interesse di quest’ultimo a non recidere il legame con i genitori naturali, che, nella specie, si rivela prevalente, e non recessivo, rispetto al quadro deficitario delle capacità genitoriali, peraltro in palese recupero.”