Cassazione – ordinanza n. 23804 del 2 settembre 2021

La vicenda esaminata dalla Suprema Corte si riferisce ad una decisione del Tribunale di Treviso, relativamente ad una procedura di divorzio, mediante la quale veniva disposto l’affidamento condiviso dei figli minori con collocamento prevalente presso il padre. A seguito della conferma della decisione del giudice di primo grado da parte della Corte d’Appello di Venezia, la madre decideva di ricorrere in cassazione, per la mancata motivazione dei giudici d’appello di non procedere all’ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della donna, fa presente che: “in proposito questa Corte ha affermato che l’audizione dei minori già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori…” Prosegue sempre la Corte: “l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, pertanto, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che l’ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori e la relazione in essere con il figlio (Cass., 24 maggio 2018, n. 12957).”