Cassazione Penale, sentenza n. 24388 del 20 giugno 2024

Il caso in esame è originato dal ricorso di un ex marito, imputato del reato di cui all’art. 388 c.p., avverso la sentenza dei giudici di secondo grado con la quale veniva condannato per aver trattenuto con sé la figlia e aver eluso la sentenza con la quale il tribunale aveva stabilito il diritto del padre a vedere la figlia liberamente, previo tuttavia accordo con la madre.

La Suprema Corte a riguardo osserva che: “il fatto è stato compiutamente ricostruito, essendo emerso che il provvedimento adottato dal giudice civile non prevedeva giorni fissi in cui il padre poteva vedere la figlia, limitandosi ad affermare che questi potesse stare con lei liberamente, previo accordo con la madre e nel prioritario interesse della bambina, o, in caso di disaccordo tra i coniugi, secondo i tempi e le modalità fissati nei provvedimenti temporanei ed urgenti. Si tratta, quindi, di un provvedimento per la cui attuazione era indispensabile un accordo tra i genitori. Nell’ambito di tale generica regolamentazione, è emerso che l’imputato aveva trattenuto per giorni la figlia presso di sé, mentre avrebbe dovuto riportarla a casa della madre, con la quale non aveva raggiunto alcun accordo per prolungare la permanenza. In buona sostanza, quindi, il fatto è stato cristallizzato nel “rifiuto” dell’imputato di riaccompagnare la bambina dalla madre nel giorno previsto.

A fronte del dato fattuale sopra richiamato, la Corte di appello ha ritenuto integrato il reato applicando il principio secondo il quale integra la condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, rilevante ai sensi dell’art. 388, secondo comma, cod. pen., anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l’attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione.”

La Corte di Cassazione, nell’annullare la sentenza impugnata senza rinvio poiché il fatto non sussiste,  fa presente che: “con riferimento alla condotta tipica del reato in questione, il Collegio intende, invece, dare continuità all’orientamento più recente di legittimità, secondo il quale il mero inadempimento del provvedimento del giudice nella suddetta materia non integra il reato di cui all’art. 388, comma secondo, cod. pen., occorrendo che il genitore compia atti fraudolenti o simulati, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede (Sez. 6, n. 10905 del 31/01/2023, C., Rv. 284467; Sez. 6, n. 38126 del 11/07/2023, M., Rv. 285214).

Questa più recente esegesi valorizza il dato letterale del tratto tipico della condotta penalmente rilevante della fattispecie di cui all’art. 388, secondo comma, cod. pen. – la “elusione”- che evidentemente non può essere equiparata ad ogni inadempimento del provvedimento del giudice in materia di affidamento dei minori.

Tale impostazione è coerente con l’insegnamento delle Sezioni Unite, là dove hanno chiarito che le previsioni incriminatrici di cui ai primi due commi dell’art. 388 cod. pen. tutelano la “effettività” della tutela giurisdizionale e che oggetto del presidio penale non è la mera inosservanza ma la elusione del provvedimento del giudice, consistente in condotte accompagnate da atti fraudolenti o simulati finalizzati ad evitare l’adempimento, sempre che non si tratti di comportamento che richieda l’infungibile facere dell’obbligato (Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007, Vuocolo, Rv. 236937).”