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Cassazione – ordinanza n. 7574 del 21 febbraio 2023

La questione affrontata dalla Corte di Cassazione si riferisce ad una ordinanza del Tribunale del riesame di Perugia, che aveva accolto l’appello formulato dal GIP al fine di ripristinare la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di maltrattamenti nei confronti dell’ex moglie, poiché l’indagato non aveva mostrato di essere affidabile nell’osservare spontaneamente la misura degli arresti domiciliari, in considerazione dei suoi pervicaci atteggiamenti minacciosi e violenti.

Nel respingere il ricorso presentato dall’uomo, la Corte Suprema di Cassazione ha però precisato che “nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari; tuttavia, deve escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile (in motivazione, la Corte ha precisato che fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona) (Sez. 6, n. 6126 del 09/10/2018 – dep. 07/02/2019-, C., Rv. 275033 01; Sez. 6, n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794). Il delitto in parola postula, dunque, il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest’ultima.

Ai fini della integrazione della fattispecie, è pertanto necessario – dal punto di vista fenomenologico – che il soggetto agente infligga abitualmente vessazioni e sofferenze fisiche o morali in danno di un altro, il quale ne rimanga succube. Ne discende che, in presenza di atti sporadici di violenza fisica o morale, difettando l’abitualità del reato, non è configurabile la fattispecie di cui all’art. 572 c.p.”.