Cassazione, sentenza del 27 febbraio 2024 n. 8617

I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno esaminato il caso di una madre, assolta in primo grado ma condannata in appello, per il reato di maltrattamenti in famiglia commesso ai danni dei due figli minori. In particolare, a seguito di indagini dei Carabinieri, si era appurato che la madre, per l’effetto dell’abuso di alcolici, non era in grado di occuparsi dei minori, né della gestione della casa, al punto tale che i minori rimanevano sostanzialmente privi di assistenza e del tutto abbondonati a sé stessi.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso della madre, chiarisce che: “si ritiene pienamente condivisibile la soluzione recepita dalla Corte di appello, secondo cui il reato di maltrattamenti in famiglia ben può essere commesso anche imponendo ai familiari – nel caso di specie i figli minori in tenera età – un regime di vita connotato non solo dal frequente ricorso a violenze fisiche, ma più in generale improntato a un generale degrado nell’accudimento (sia pur con riferimento a diversa fattispecie, si veda Sez. 6, n. 12866 del 25 /1/2018, Rv. 272737). A tal riguardo, infatti, deve precisarsi che il reato di maltrattamenti può essere commesso anche in forma omissiva, lì dove il genitore non provveda ad assicurare al minore, specie se in tenera età, tutte quelle condotte di cura, assistenza e protezione a fronte di esigenze cui il minore non può altrimenti provvedere (Sez. 6, n. 4904, del 18/3/1996, Rv. 205035; Sez. 6, n. 9724 del 17/1/2013, Rv. 254472). Né è condivisibile la tesi del giudice di primo grado, secondo cui nella condotta dell’imputata non sarebbe ravvisabile la volontà di avvilire e sottoporre le persone offese ad un contesto di vita familiare degradante.

Invero, il reato di maltrattamenti, presupponendo il dolo generico, non implica l’intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria (sez. 3, n. 1508 del 16/10/2018, Rv. 274341-02). La reiterazione nel ricorso alla violenza nei rapporti con i figli, nonché l’abituale deficit di accudimento emerso, sono elementi di per sé dimostrativi della reiterazione di condotte idonee ad integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, sia sotto il profilo oggettivo che dell’elemento soggettivo del reato.”